C’è una possibile rivoluzione all’orizzonte per la lotta all’Alzheimer, la più diffusa forma di demenza a livello mondiale. Per la prima volta infatti un farmaco si è dimostrato efficace nell’eliminare le placche amiloidi associate allo sviluppo della malattia, e se pur sperimentato su un gruppo estremamente ristretto di pazienti, sembra in grado di rallentare notevolmente la progressione della malattia. Il farmaco in questione è un anticorpo monoclonale, l’Aducanumab, la cui efficacia e sicurezza sono state valutate da uno studio pubblicato negli scorsi giorni su
Nature. Se l’efficacia sarà confermata, sarebbe il primo farmaco mai sviluppato per questa malattia.
Per realizzare l’
Aducanumab, i ricercatori della
Biongen spiegano di essere partiti da alcuni anticorpi umani, scoperti comparando il sangue di anziani sani con quello di pazienti che soffrono di Alzheimer. Identificato in questo modo un anticorpo in grado di distruggere, almeno in provetta, le
placche amiloidi, la molecola è stata quindi replicata e testata su topi. E dopo l’ennesimo successo, è stata quindi la volta dell’atteso trial su pazienti umani.

Il farmaco, 'insegna' al sistema immunitario a riconoscere le placche, è stato testato su un gruppo di 165 persone con Alzheimer moderato, metà delle quali ha ricevuto una infusione settimanale, mentre gli altri hanno avuto un placebo. Chi ha ricevuto il principio attivo ha mostrato una progressiva riduzione delle placche, spiegano gli autori. "Dopo un anno - sottolinea
Roger Nitsch dell'
università di Zurigo, che definisce i risultati 'incoraggianti' - le placche sono quasi completamente scomparse".
I risultati dello studio, sottolineano i suoi autori, sono di estrema importanza, perché a oggi non disponiamo di nessuna terapia efficace per la cura dell’Alzheimer. “È la migliore novità che abbiamo avuto negli ultimi 25 anni, e finalmente possiamo portare un po’ di speranza ai pazienti”, ricorda Alfred Sandrock, ricercatore della biotech americana Biongen che ha sviluppato il farmaco e spera di portarlo al più presto sul mercato.

Il giudizio resta dunque sospeso. "Finalmente dopo tanti anni abbiamo le prove che una nuova classe di farmaci potrebbe diventare disponibile. A oggi non ci sono mezzi per fermare la malattia" ha commentato da un lato David Reynolds, responsabile del settore scientifico della charity Alzheimer's Research. "Ma non dimentichiamo che gli effetti collaterali sono stati importanti" gli ha fatto eco David Allsop, professore di neuroscienze all'Università di Lancaster. "Il problema va superato, se speriamo che un giorno il farmaco diventi di uso comune". Per James Pickett, capo della divisione ricerca della Alzheimer's Society, "questi sono i risultati più dettagliati e promettenti che io abbia mai visto". Ma non è detto che si rivelino anche efficaci per i pazienti. E Gordon Wilcock, emerito di geriatria all'università di Oxford, parla di "una sensazione di déjà vu", visti i tanti farmaci promettenti che in passato non hanno mantenuto le promesse iniziali.
Stefano Sensi, neurologo dell'università di Chieti e dell'università della California a Irvine ha iniziato una sperimentazione per verificare l'effetto di alcuni aspetti dello stile di vita sulla malattia. "Con il termine demenza classifichiamo malattie che hanno in realtà cause molto diverse. Il nuovo trattamento sarà probabilmente efficace contro quelle forme provocate dalla beta-amiloide. Ma di fronte agli altri pazienti resteremmo ancora scoperti". Né capire quali sono le persone che potranno trarre beneficio dall'aducanumab sarà facile. "Serviranno test piuttosto costosi come risonanza magnetica, una pet specifica per individuare la beta-amiloide nel cervello e un'analisi del liquido cerebrospinale. Per la tenuta dei conti del sistema sanitario nazionale, si tratterà di una bella sfida".
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