La Polizia dello Stato del Michigan starebbe utilizzando un dito stampato in 3D per accedere alle informazioni di uno smartphone appartenente ad una vittima di un caso di omicidio.
Secondo un nuovo articolo pubblicato da Rose Eveleth per Fusion, gli ufficiali delle forze dell'ordine hanno contattato alcuni esperti del settore per riprodurre l'impronta di una vittima all'interno di un caso di omicidio partendo da una scansione registrata precedentemente. Creato il modello tridimensionale sarebbe infine possibile realizzare una finta impronta, da utilizzare al fine di sbloccare lo smartphone e ottenere l'accesso ai suoi file.
Allo stato attuale delle investigazioni non c’è ancora modo di sapere se il metodo attuato dalla polizia abbia avuto successo: su un sistema operativo aggiornato, ad esempio, potrebbe essere intervenuta la richiesta di inserimento del codice numerico, una misura di sicurezza aggiuntiva inserita da Apple per lo sblocco dei telefoni rimasti inattivi a lungo. Se gli investigatori fossero riusciti nel loro intento però si tratterebbe del primo caso di un accesso ad iPhone ottenuto in questo modo: un precedente importante, che potrebbe dare il via libera alla soluzione di altri casi simili e meno simili.
Se confermata la notizia, ci potremmo trovare di fronte al primo caso in cui la tecnica è stata utilizzata per sbloccare uno smartphone appartenente ad un'indagine attiva. Le tecniche di sblocco "coatto" da parte delle autorità di legge statunitensi hanno catturato l'attenzione del pubblico a partire dal caso di San Bernardino degli scorsi mesi, in cui Apple si è coraggiosamente rifiutata di collaborare ad un ordine della FBI che richiedeva lo sblocco di uno smartphone appartenente ad uno degli attentatori. A maggio Apple ha infine cambiato le modalità di accesso via impronta digitale.
Un semplice dito stampato in 3D però non è ancora in grado di sbloccare un telefono. La maggior parte dei lettori di impronte digitali sono di tipo capacitivo, cioè si basano sulla chiusura di microscopici contatti elettrici. Le creste delle dita causano la chiusura di questi contatti, generando un'immagine dell'impronta digitale.
La pelle è abbastanza conduttiva per chiudere questi circuiti, ma la normale plastica per stampa 3D non lo è, quindi il dito stampato deve essere rivestito da uno strato di particelle metalliche in modo che il lettore possa leggere correttamente l'impronta.
Internet, i vari forum e blog si scatenano. Molti utenti distratti propongono di utilizzare il dito mozzato della vittima per sbloccare la prima volta il telefono per poi togliere la protezione con il Touch ID. Anche se, teoricamente, la soluzione sembra corretta, c'è da tenere presente che la stampa 3D si rivelerebbe comunque necessaria dal momento che lo stato di decomposizione del cadavere è troppo avanzato per poter applicare direttamente l'impronta sul dispositivo o raccogliere il calco direttamente dalle dita della vittima. Infatti il sensore montato sul telefono è capace di distinguere la qualità elettro-chimica del dito e a distinguere così il dito di un cadavere.
La storia ci insegna che la comodità fa premio sulla sicurezza, almeno in una prima fase. Quindi si continuerà a usare lo sblocco con l'impronta, sperando che la ricerca per migliorarla vada più veloce dei tentativi dei malintenzionati.
(fonti: Repubblica Tecnologia, hwupgrade.it, wired.it, Fusion.net)

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